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Crisi energetica. L’importanza di diversificare

Le possibili conseguenze del conflitto in Ucraina

Lo scontro che si sta consumando in Ucraina potrebbe avere delle importanti ripercussioni anche nel territorio italiano, legate in particolar modo all’approvvigionamento di gas dalla Russia, nell’ipotesi in cui Mosca decidesse di chiudere i rubinetti. L’Italia, difatti, ha una dipendenza energetica dall’estero molto forte. Nel caso specifico del gas, importa circa il 95% di quello che consuma, il 40% del quale proveniente proprio dalla Russia. Nonostante le rassicurazioni dell’esecutivo, secondo il quale le scorte di gas attualmente a disposizione sarebbero sufficienti a resistere nel breve periodo, diventa imprescindibile trovare, anche a mero titolo precauzionale, soluzioni alternative, valutando ogni evenienza. Ancora di più dopo il pesante pacchetto di sanzioni applicato da Stati Uniti e Unione europea alla Russia. In tale ottica, “potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato” *, è il commento del Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, pronunciato nel corso dell’informativa alla Camera dei Deputati lo scorso 25 febbraio.

Le centrali a carbone che potrebbero riaprire

Da Venezia a Brindisi, da Gorizia a Sassari, sono in tutto sette le centrali a carbone dislocate sull’intero territorio nazionale, cinque facenti capo all’Enel, le rimanenti appartenenti al gruppo EP produzione e all’azienda A2A. Centrali che, stando a quanto espressamente previsto dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), redatto dal Ministero dello Sviluppo Economico e trasmesso alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, dovrebbero essere, entro il 2025, completamente dismesse o convertite in centrali a gas naturale. Non sono in pochi, però, a far notare come la loro riapertura segnerebbe un passo indietro non indifferente nella lotta ai cambiamenti climatici, specialmente se si considerano gli impegni assunti sia con l’Accordo di Parigi che, di recente, alla COP26. Il ritorno al carbone, seppur temporaneo, dovrebbe quindi essere inteso come extrema ratio, giustificabile solo alla luce dell’emergenza internazionale.

L’importanza della diversificazione

Sempre nel corso del suo intervento a Montecitorio, il premier anche ha colto l’occasione per sottolineare come sia stato “imprudente non aver differenziato maggiormente le nostre fonti di energia” ** e i nostri fornitori nel corso dell’ultimo decennio. Difatti, è evidente e sotto gli occhi di tutti l’importanza di non dipendere da un unico paese e la necessità della diversificazione per superare le possibili crisi che si prospettano all’orizzonte. Le opzioni attualmente al vaglio per tentare di porre rimedio a tali storture e rispettare, al contempo, gli obiettivi climatici possono essere così sintetizzate: in primo luogo, puntare sul GNL, acronimo di gas naturale liquefatto, rafforzando le rotte commerciali già in essere con paesi esteri, come ad esempio gli Stati Uniti, previo aumento del numero di rigassificatori in funzione, attualmente molto limitato; in secondo luogo, incrementare i flussi da gasdotti non a piano carico come il Tap dall’Azerbaijan, il TransMed dall’Algeria e dalla Tunisia o, ancora, il GreenStream dalla Libia.

Fonti:

Francesco Di Raimondo