Informazioni generali

Test Sierologici COVID-19

Nell’ultimo periodo si è parlato spesso dei TEST SIEROLOGICI utilizzati come strumento per il rilascio di un “patentino di immunità” al COVID-19. Ma come funzionano questi test? E, soprattutto, il loro risultato è realmente affidabile?

Test sierologici: principio scientifico e di funzionamento

I test sierologici basano la loro azione sull’individuazione, nel siero del paziente (la fase liquida del sangue) di anticorpi sviluppati contro il Coronavirus in quanto, in seguito a contatto con il patogeno, il nostro corpo scatena una risposta immunitaria mirata a debellare il microrganismo.

Durante questa risposta immunitaria vengono prodotte diverse tipologie di anticorpi (o immunoglobuline); il meccanismo d’azione dei test sierologici mira ad individuarne due in particolare, le IgM e le IgG. Questi due tipi di anticorpi vengono prodotti con tempistiche diverse dall’organismo in presenza di un’infezione, in particolare le IgM sono le prime a comparire nelle fasi più precoci della malattia, mentre le IgG vengono prodotte nelle fasi avanzate dell’infezione.

Con i test sierologici, quindi, non solo sarebbe possibile identificare i soggetti che sono venuti a contatto con il virus, ma anche verificare in che stadio sia l’infezione derivata. Questo risultato può dare importanti indicazioni sulla decorrenza dell’infezione, contrariamente al tampone che identifica la presenza o assenza del virus in uno specifico momento. Inoltre, possono emergere dati rilevanti sulla reale diffusione della patologia, dato che il test sierologico può essere effettuato senza troppe difficoltà e senza eccessiva strumentazione (in particolare il test rapido), fornendo indicazioni anche sui soggetti asintomatici che, di conseguenza, non sarebbero mai stati sottoposti a tampone.

Si possono distinguere due tipologie di test sierologici, i test rapidi in cui con una goccia di sangue e in completa autonomia è possibile, in pochi minuti, visualizzare una banda indicatrice della presenza di IgM o IgG (il funzionamento è molto simile ai test di gravidanza) ed i test quantitativi che, invece, si svolgono mediante prelievo sanguigno e richiedono apposita strumentazione di laboratorio per essere elaborati. E’ importante sottolineare che nessuna tipologia di test sierologico, ad oggi, rappresenta di per sé uno strumento diagnostico, in quanto non sufficientemente sensibili e specifici per poter essere utilizzati da soli a tale scopo.

L’impatto sulla FASE 2

In attuazione della FASE 2, diverse aziende si stanno organizzando per l’effettuazione dei test sierologici ai dipendenti asintomatici, così da permettere loro di evidenziare situazioni di esposizione al COVID-19 e, in caso di successivo tampone positivo, garantire la consapevolezza del soggetto interessato; esso potrà così non solo agire nel migliore dei modi per la tutela della propria salute ma, evitando di entrare in azienda, salvaguardare anche la salute e sicurezza dei colleghi.

Per l’ottenimento di questo risultato è però estremamente importante valutare l’affidabilità dei test scelti. L’ottenimento di risultati FALSI POSITIVI potrebbe fornire false indicazioni sulla diffusione della patologia, obbligando inoltre i soggetti ad una quarantena forzata senza nessuna ragione clinica; tuttavia, a questo risultato verrebbe associato quello del tampone che darebbe il reale esito di negatività all’infezione. Più grave sarebbe la presenza di risultati FALSI NEGATIVI, che possono portare a favorire la diffusione del virus a chi venga in contatto con il soggetto che, forte del risultato del test, avrebbe accesso a tutte le aree aziendali e, di ritorno al domicilio, non attuerebbe le dovute misure di isolamento a protezione dei propri familiari.

Questi test possono quindi rappresentare un valido aiuto per l’attuazione delle corrette misure di contenimento della pandemia e possono essere uno strumento per la collettività nella fase di ripresa delle attività lavorative; è tuttavia essenziale affidarsi a test riconosciuti dalla comunità scientifica e dalle autorità sanitarie, per evitare di trasformare la loro potenziale utilità in un’arma a doppio taglio che, al contrario, favorisca il diffondersi dell’infezione.

Elena Colombo