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ROMA e la sfida di Expo 2030

Roma sarà ufficialmente candidata dal governo a ospitare l’Esposizione Universale del 2030, una delle mostre espositive più importanti sul piano internazionale. È stato lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, a renderlo noto in settimana.

Una grande opportunità

Fino a questo momento, sono solamente due le candidature fatte pervenire, oltre naturalmente a quella italiana. Si tratta di Mosca, la capitale Russa, e di Busan, cittadina portuale situata in Corea del Sud. Tuttavia, il termine per la presentazione delle domande non è ancora scaduto, essendo stato fissato per il prossimo 29 di ottobre. Altre importanti città sparse per il mondo, pertanto, potrebbero ancora inserirsi nella corsa. Rimane il fatto che la città di Roma, che non ha mai ospitato nella sua storia un’edizione dell’Expo – l’edizione del 1942 non ha avuto luogo a causa dell’inizio della Seconda guerra mondiale – ha davanti a sé un’occasione irripetibile, “una grande opportunità per lo sviluppo della città” *, e non solo di quella. Ospitare l’Expo apporterebbe benefici notevoli all’intero territorio nazionale. Significherebbe attrarre investimenti esteri, creare nuovi posti di lavoro, contribuire al rilancio economico.

A chi è rimessa la decisione

A regolare la gestione dell’Esposizione Universale, e di tante altre iniziative simili, è il BIE, acronimo che sta per Bureau International des Expositions, ovvero un’organizzazione internazionale intergovernativa istituita tramite la Convenzione di Parigi del 1928 e dai successivi protocolli applicativi. Ad oggi, esso raccoglie l’adesione di 168 Stati membri, ognuno rappresentato da un massimo di tre delegati per singola nazione, nominati dal governo, i quali, attraverso la partecipazione all’Assemblea generale, contribuiscono al processo decisionale che porta alla scelta del Paese ospitante. Il BIE, inoltre, oltre a stipulare accordi con quest’ultimo, destinati a disciplinare le modalità effettive di svolgimento e di partecipazione, determina anche la ricorrenza della manifestazione e ne cura gli aspetti qualitativi imprescindibili per promuovere la cultura e le relazioni internazionali.

Il precedente tutto italiano

La città capitolina, dunque, potrebbe essere la seconda città italiana ad ospitare nel giro di appena 15 anni l’evento, dopo Milano nel 2015. Proprio da tale edizione è possibile raccogliere qualche interessante spunto di riflessione, o di preoccupazione. Appurato che l’Expo di Milano ha fatto registrare, nel complesso, un buon risultato dal punto di vista partecipativo – si stima vi abbiano preso parte circa 22 milioni di visitatori, oro colato in termini di ritorno di immagine – lo stesso non si può dire per ciò che riguarda gli aspetti economici e infrastrutturali. Quanto al primo, i costi affrontati risultano essere di difficile quantificazione mentre, per contro, le entrate, quelle sì, sono risultate inferiori rispetto alle previsioni iniziali. Quanto al secondo aspetto, smantellata abbastanza rapidamente l’area dai vari padiglioni realizzati per l’occasione, il sito è apparso per alcuni anni abbandonato e in preda all’incuria. Di recente, tuttavia, alcuni progetti sono stati presentati per la riconversione dell’intera area. Di questi e di tanti altri scenari la città di Roma deve necessariamente cominciare ad interessarsi.

Fonti:

Francesco Di Raimondo