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L’incidente che ha congestionato il commercio mondiale

Cosa è accaduto?

La vicenda della portacontainer Ever Given è balzata agli onori della cronaca nel corso delle ultime settimane. Il colosso del mare, lungo 400 metri e pesante più di 224 mila tonnellate, si è incagliato per traverso nel Canale di Suez nella giornata di martedì 23 marzo per cause ancora non del tutto chiarite, ostruendo un’arteria fondamentale per il commercio marittimo globale.

Il blocco del Canale, realizzato per collegare il Mar Mediterraneo al Mar Rosso permettendo alle navi commerciali di evitare la circumnavigazione dell’Africa, ha avuto un impatto economico senza precedenti. Si stima, infatti, un danno di oltre nove miliardi di dollari al giorno e un ingorgo tale da incolonnare in impaziente attesa più di 400 navi, tra cui anche altre portacontainer.

Tuttavia, a dispetto delle prime voci che ipotizzavano una situazione destinata a protrarsi a lungo, il “collo di bottiglia” (vengono così chiamati gli stretti o canali artificiali che rappresentano punti obbligati per certe rotte commerciali) è stato sgomberato in tempi relativamente brevi. Il merito è da attribuire, oltre all’alta marea, all’impiego massiccio di ruspe, draghe e altre macchine speciali provenienti da vari Paesi – tra cui anche il rimorchiatore italiano Carlo Magno – che, non senza sforzi, sono riuscite in un’impresa complicatissima.

Le prime conseguenze

Il ripristino della navigazione, da solo, non è però bastato a far gridare allo scampato pericolo. L’incidente ha avuto, e sta tuttora avendo, importanti ripercussioni su settori, come quello dell’approvvigionamento, già messi a dura prova dall’attuale pandemia.

Vediamo brevemente quali.

Innanzitutto, una prima ripercussione ha interessato i principali porti mondiali, i quali hanno dovuto assorbire, nell’arco di una settimana, un quantitativo di merce ben superiore rispetto ad un periodo di regolare traffico, sottoponendo a forte stress la catena logistica e rischiando di paralizzare l’intera struttura portuale.

Ancora, i ritardi nelle consegne e il potenziale deperimento delle merci trasportate. In alcuni casi, questo rischio è stato accentuato dalla precipitosa decisione di alcune compagnie – evidentemente scettiche su una rapida risoluzione dell’impasse – di passare per il Capo di Buona Speranza che si traduce in: nove chilometri in più di rotta, quasi due settimane aggiuntive di navigazione, 26.000 dollari di carburante extra al giorno.

Impossibile non citare, poi, le inevitabili ripercussioni sull’approvvigionamento delle materie prime che non hanno interessato esclusivamente il mercato del gas naturale o del petrolio, il cui prezzo è salito del 6% nelle ore seguenti all’incidente per poi, lentamente, ritornare alla normalità. I rincari stanno interessando anche altri mercati considerati chiave: si va dal grano alle materie plastiche, dall’acciaio al carbone, passando per il mercato del ferro e finendo con quello dei microchip.

Non va dimenticato, da ultimo, il fronte legale, il quale è destinato a tenere banco nei prossimi mesi, con conseguenze economiche risarcitorie ancora difficilmente quantificabili nell’ammontare.

L’allarme: “Reshoring necessario”

Resta il fatto che le spettacolari immagini della Ever Given hanno portato alla luce quanto il Vecchio Continente sia fortemente dipendente dalle forniture estere, forse anche troppo. Ed è proprio a questo proposito che si è tornati a parlare animatamente di Reshoring, quel fenomeno economico opposto all’Offshoring – meglio conosciuto come delocalizzazione – che punta a far rientrare a “casa” quelle aziende che in precedenza hanno deciso, per l’appunto, di delocalizzare.

Vi terremo aggiornati sui futuri risvolti.

Fonti:

Francesco Di Raimondo